“Erano anni che quel vecchio carillon era stato confinato nell’angolo destro del cassetto. Un giorno, e sembrava proprio un giorno qualunque, ritornò sul suo cassettone come su un trono e Lei gli fece scandire le sue uniche 5 note, che subito fecero spalancare la finestra, sfondare le pareti e si tuffarono là sulla cresta della collina in bilico tra il giorno e la notte, tra il giorno luminoso e la notte nera attorniata dai colori dell’amore.
Tutto era sospeso, la sua ombra era sparita, le foglie erano vele al vento e per la prima volta intuì il battito cardiaco del pianeta e tutto l ‘ I N F I N I T O che aveva dentro. Schierò lì tutta la sua vita: poteva così percorrere velocemente in avanti e indietro ogni istante del suo passato e tratteggiare su uno schema ripetitivo qualcosa del suo futuro, giocava con le pieghe del tempo
per poi trovarsi nelle vetrine dell’infinito.
No, non era un’idea madreperlacea, non un gomitolo di pensieri, non era la nebbia che ti appanna la vista: era un colore immenso, erano particelle libere e pure che Lei inspirava, era una finestra nel cielo, era uno spiare l’infinito, era sentirsi un FRAMMENTO del tutto.
Ed è proprio lì che si fermò, si sedette sulla grande pietra grigia importante che esigeva rispetto, una vera star della collina. Con voce grave, e forse con un po’ di raucedine, parlò chiaro la pietra: quel mattino non voleva essere un semplice oggetto, una sosta, un parcheggio, voleva dare anch’essa un’angolatura diversa sulla tela del mondo e così, mentreLei stringeva tra le mani il suo cristallo di rocca, vide trasformarsi le figure, le forme, gli oggetti, da soli e senza sforzo proprio come se dovesse avvenire, in qualcosa che non aveva forma, che andava oltre. Ed era un bel ripartire dall’inizio: solo essenza, niente accessori. Prese tutti i suoi ricordi e li chiuse in cassaforte.
L’ultima nota del carillon si era intrecciata con una larga pennellata d’argento libera e sola, là nel cielo.
Sulla musica del mondo non c’erano elementi che bloccavano lo sguardo in quella strana luce accartocciata, filtravano solo vibrazioni d’infinito.
Lei si lasciava trasportare.
Un gabbiano planava.
In alto c’era sempre quel filo che era stato bianco, grigio, poi ruggine, ed ora si trasformava in oro.
Il cristallo di rocca continuava a brillare.
– Ma i sogni sono ancora sacri? – Sono colori primari e puri e come le intuizioni è meglio tenerseli, non bisogna buttar via proprio niente.
… chissà se poi è iniziato
tutto dalle 5 note del
vecchio carillon…”
Enzo Archetti
Questo racconto è pubblicato sul volume “frammenti d’infinito” Edito da Marco Serra Tarantola Brescia dicembre 2006